Sta mutando l’aspetto stesso dei nostri quartieri e della nostra socialità.
Cambia l’essenza delle nostre capacità relazionali.
Librerie, edicole, alimentari, macellerie etc…:l’elenco delle attività che ogni giorno chiudono, dopo decenni di attività, è lungo e in continua crescita.
A dominare le strade e i marciapiedi, ormai, sono i furgoni dei corrieri, spesso multinazionali, velocissimi nel distribuire a domicilio pacchi e pacchetti.
La disordinata evoluzione delle strutture di ristorazione e di alloggio sta impoverendo le nostre città.
Con i centri commerciali e i megastore abbiamo svuotato i nostri centri storici per riversarci nelle periferie.
Oggi, superati i primi venti anni del secolo,viviamo un’altra trasformazione epocale.
Finisce la relazione diretta tra chi compra e chi vende per diventare una pratica fredda, che annulla la distanza tra un clic sulla tastiera di un pc o di uno smartphone e la materializzazione dell’oggetto fisico.
Di conseguenza, non è un caso, che <<la sindrome da stress post-traumatico porta il 75% dei cittadini a non fidarsi più degli altri>>, come ci ha ricordato recentemente il Censis in uno suo approfondito studio.
Probabilmente questo processo è ormai acquisito e ineluttabile, ma dobbiamo impegnarci per dirigerlo e ripensarlo affinché sia positivo e promettente per tutti.
Soprattutto in una città sempre più martoriata come la nostra, Capitale di Italia.
Dobbiamo pensare, e rendere concrete, nuove forme di commercio, fondate sulle relazioni e sulla fiducia. Sulla prossimità, fisica e di relazione.
In questa ottica le botteghe, i negozi di vicinato, i mercati rionali sono un baluardo che non dobbiamo e non possiamo perdere.Anche e soprattutto nelle aree marginali che insieme ai negozietti vedono sparire un pezzo di identità sociale di tutti noi.
I mercati rionali, con i loro colori e la loro forte caratterizzazione, sono un esempio di successo di questa “capacità emotiva”.
Offrono un bene insostituibile: la relazione diretta tra chi vende e chi consuma. Un volto al posto di un clic. Un sorriso al posto di una transazione telematica.
Dobbiamo quindi pensare, dalla Politica al Cittadino dalle Imprese agli Organismi intermedi, a una rigenerazione urbana.
Dobbiamo immaginare un modo nuovo di approcciare il consumo che sia rispettoso dell’ambiente e delle persone che di commercio vivono.
Un tema che si gioca nel campo della stessa rivoluzione digitale e che rimetta in gioco start up e attività tradizionali. In una nuova osmosi.
Una nuova concezione che guardi al futuro e non al passato, che veda il commercio tradizionale come paradigma di un nuovo modo di pensare alle città.
È un obiettivo ambizioso, ma alla nostra portata!
Claudio Butera