Per una volta tanto lasciamo da parte argomenti di carattere economico, politico e aziendale per fermare l’attenzione su alcuni spunti e riflessioni che ci vengono suggeriti dalla relazione del Procuratore Generale presso la Corte di Appello di Roma sulla situazione della giustizia nel territorio di propria giurisdizione.
All’inaugurazione dell’anno giudiziario infatti, l’alto magistrato, ha lanciato un serio allarme.
A Roma il problema più grave è la corruzione, fenomeno che riguarda soprattutto l’inquinamento dei processi.
Sono cresciuti pure i reati connessi con le violenze sessuali e all’adescamento di minorenni attraverso la rete internet, sono in aumento anche i reati degli infortuni sul lavoro mentre restano impuniti gli abusi edilizi.
Nella sua relazione il Procuratore Generale sottolinea “non è un buon esempio il fatto che un immobile pubblico resti nella disponibilità di una organizzazione politica mentre si procede a sgomberare luoghi di assistenza per migranti”.
Allarmanti sono anche i dati sulle rapine e sulla diffusione degli stupefacenti oltre che sulla microcriminalità.
Il messaggio che emerge dalla relazione del Procuratore Generale è che a Roma la criminalità, specialmente quella organizzata e di nuovo stampo, è in deciso aumento e minaccia le basi stesse di una pacifica e ordinata convivenza civile.
Il quadro di fondo che viene offerto è quello di una giustizia che appare in forte crisi ma anche, ad un esame più approfondito, quello di una società che non riesce più ad esprimere una morale in grado di regolarla e di esercitare un controllo sui soggetti che ne fanno parte.
È inutile nascondersi quello che è là verità: la criminalità organizzata si sta impadronendo della città, con il favore e la connivenza di compiacenti complicità all’interno del potere pubblico, del sistema bancario, del complesso mondo delle attività economiche.
Attenzione, questo non è un pensiero soggettivo. Al contrario, è la sintesi della realtà denunciata nella relazione del Procuratore Generale.
Si tratta di una denuncia grave, di un colpo durissimo portato alla credibilità di uno Stato democratico che non riesce, pur con l’impegno ed il sacrificio delle forze dell’ordine e di tanti magistrati, ad assolvere uno dei suoi doveri primari, quello di garantire tranquillità ai cittadini.
Se tale è la situazione, e non c’è motivo di pensare che la relazione del Procuratore Generale sia solo un inutile allarmismo, è evidente che debbono essere ripensate alcune cose tanto a livello legislativo quanto a livello operativo nella lotta contro il crimine.
Ma non si può offrire al Paese un tale spettacolo d’impotenza e poi lamentarsi se la gente chiede misure repressive forti, se pretende la fine del permissivismo, se cerca di adattarsi al clima da Far-West oggi esistente.
Occorrono dei provvedimenti legislativi uniformandoli ad una maggiore tutela nei confronti dei cittadini onesti ed a punizioni sempre più esemplari per i delinquenti abituali.
Così come è necessario arrivare a processi che, pur rispettosi delle garanzie essenziali, siano rapidi e non diventino sceneggiate che fanno aumentare le perplessità dei cittadini.
Ancora, occorre che il potere politico rientri nel proprio naturale alveo e non invada più altri poteri e competenze dello Stato.
Da ultimo occorre che i cittadini onesti trovino il coraggio di collaborare con le forze dell’ordine e la giustizia. La lotta al crimine è una scommessa fortemente dubbia ma non è impossibile da vincere se si riesce a saldare gli sforzi di quanti sono impegnati in prima persona con un reale sostegno da parte dei cittadini.
Per raddrizzare le cose non occorrono spinte emotive o crociate estremistiche. Servono invece pazienza, determinazione e fiducia. Questo ci viene chiesto da chi opera in prima fila e questo cerchiamo di dare se veramente vogliamo essere cittadini degni di questo nome.
Franco Gioacchini
Presidente CO.RI.DE.