La pace: una dimensione dello spirito
La guerra civile in Libia, il terrorismo dell’ISIS ignobilmente definito “Santo”, i focolai guerreschi in molte parti del nostro Pianeta, la recente tragedia dei duecentocinquantatre cristiani uccisi nello Sri Lanka, le parole di Papa Francesco che sottolineano che nel mondo “spirano venti di guerra” ci fanno percepire che di fatto siamo in un clima di conflitto mondiale.
Sembrava che la guerra fosse un mezzo ormai bandito come soluzione ai problemi del mondo.
Che le esperienze del Vietnam, dell’Afganistan, della ex Jugoslavia e dell’Iraq fossero state le ultime, che il disarmo fosse una strada senza ritorno, una situazione definitiva, una condizione rassicurante.
La situazione attuale, purtroppo, ci dice che non è così.
Oggi volti giovani ridono intorno ad un fascio di fucili, come cinquant’anni fa, cento, duecento anni fa.
Sempre la solita beffa, ideali sublimi, giustizia, pace da assicurare, confini da difendere, l’orgoglio della divisa, gli onori militari. Nulla è cambiato.
Dove sono i fiori che si mettevano nei vecchi cannoni della seconda guerra mondiale?
I cortei pacifisti hanno il tono disperato delle esequie. Gli appelli esprimono la disperazione dell’impotenza. Ma perché? Ci chiediamo.
Perché il mondo non ha scelto la strada così comoda ed ampia della pace, del benessere, degli equilibri internazionali, dell’economia di mercato, del week end nella casa di campagna o della gita col fuoristrada dai grandi pneumatici neri?
La risposta è semplice e vecchia come il mondo.
Perché la nostra pace non è anche quella degli altri. Perché il nostro benessere non è anche quello degli altri, e così via all’infinito in una litania di ingiustizie che la dice lunga di come effettivamente vada il mondo.
Terrorismo dell’ISIS, questione Palestina-Israele, conflittualità permanente nella politica e nella società, i due Vicepremier italiani, megalomani e boriosi, che fanno a gara a mostrare i loro muscoli lanciando affermazioni di sfida l’uno contro l’altro , non guardando ai veri interessi del Paese e degli italiani, e pronti a far saltare il Governo.
Sappiamo, quindi, perché sta succedendo che un mondo che grida alla pace si è trasformato in un mondo insanguinato e litigioso. Qualsiasi cosa succede, chiunque sia il vinto o il vincitore, qualunque sia la quantità di sangue versato o il numero delle vite stroncate, la pace non tornerà con il silenzio delle armi, perché non l’abbiamo mai voluta sul serio.
La pace si costruisce ogni giorno considerandola un bene comune di tutti gli uomini e le donne e non un privilegio esclusivo di qualcuno.
La violenza si debella ogni giorno affrontandola in tutte le sue manifestazioni non solo in quelle clamorose.
La giustizia è nei rapporti con tutti non solo con i concittadini e gli amici.
La pace non è l’idea astratta che si materializza in una società perfetta: è una dimensione dello spirito, la decisione interiore, costante e definitiva, che ci fa scegliere la giustizia a tutti i costi, anche nella rinuncia.
La guerra non è il conflitto tra eserciti chiamati a dirimere un problema di diritto ma l’effetto obbligato della scelta di accettare l’ingiustizia come la condizione necessaria del proprio privilegio.
E la pace attende, stanca di parole, sul marciapiede dei diseredati mentre le multinazionali fatturano gli esplosivi che provocano il “volume di fuoco” che annienterà il nemico in pochi secondi.
Franco Gioacchini