Fare shopping in negozio senza passare per la cassa
Pronti al «pagamento invisibile»?
Entri in un negozio, appoggi il cellulare su un lettore, prendi dallo scaffale la merce che ti serve — poniamo, una maglietta —, esci tranquillamente e paghi implicitamente, senza nemmeno fare il gesto: dai l’ok perché vieni riconosciuto con un codice QR generato dall’app del negozio, che ti saluta in ingresso e in uscita con nome e cognome, mentre il codice Nfc della merce stampato sull’etichetta viene letto dalle antenne sul soffitto. L’idea è di Bnl Bnp Paribas, si chiama «Pagamento invisibile» ed è sviluppata da Axepta, società della banca. Dettaglio non da poco: bisogna registrare prima in negozio la propria carta di credito, ma a gestirla sarà la società di acquiring, Axepta appunto, non il commerciante. Presentata in novembre al Salone dei pagamenti, la soluzione potrebbe essere disponibile già da quest’anno.
Il caso Amazon
Funziona in modo simile ai negozi americani AmazonGo, senza casse, dove prelevi il prodotto ed esci senza fare la fila né svuotare il carrello, perché gli acquisti vengono addebitati direttamente sul tuo conto Amazon. È chiaro che i consumi così aumentano, come l’uso delle carte. Addirittura pare che Amazon voglia trasformare la mano in una carta di credito, ha scritto in gennaio il Wall Street Journal: il gruppo fondato da Jeff Bezos starebbe studiando una tecnologia per pagare alle casse di caffetterie, fast food e altri negozi, mostrando semplicemente il palmo della mano.
È un segnale di quanto si muoverà quest’anno il settore dei pagamenti. Tutti vogliono cavalcarlo, perché? «Dal ’90 in poi è stato la Cenerentola dei servizi bancari, ora è diventato la principessa — dice Anna Omarini, ricercatore al dipartimento di Finanza dell’Università Bocconi —. Tutti la vogliono perché è il cavallo di Troia per arrivare al servizio finanziario. È il modo migliore per avere connessioni nel mercato e conoscerlo. Non è stato positivo per le banche allontanarsi da quel business». Difatti le banche vi si stanno riposizionando, spinte dalla concorrenza delle fintech come Apple, Google, Facebook, Amazon. Ma anche, nota Gianfranco Torriero, vicedirettore generale dell’Abi, «dalla riduzione della redditività nella gestione tradizionale del denaro (tassi negativi in Bce, ndr.), dall’innovazione tecnologica che sta favorendo i pagamenti alternativi e da nuove regole come la direttiva sui pagamenti Psd2 che rafforzano la sicurezza dei pagamenti».
Il riposizionamento delle banche
Basti pensare alle operazioni degli ultimi due mesi. In dicembre Intesa Sanpaolo, guidata da Carlo Messina, ha rilevato, con un’operazione da un miliardo di euro, il 9,9% di Nexi, l’ex CartaSi da cui con altre banche era uscita, conferendole in parallelo la propria attività di merchant acquiring, i servizi di gestione delle carte di pagamento presso gli esercenti. Il 13 febbraio la Sia guidata da Nicola Cordone, fra i leader europei nelle reti di pagamento, società in cui Cdp è salita all’83% in novembre (e ancora non si sa se andrà in Borsa, come deliberato il 6 febbraio, o si unirà con Nexi), ha annunciato l’accordo con Swedbank per abilitare i pagamenti istantanei in Svezia, Estonia, Lettonia e Lituania. Lo stesso 13 febbraio la Nexi guidata da Paolo Bertoluzzo, chiuso il bilancio 2019 con un utile normalizzato di 222,7 milioni (+18,7%) e ricavi a 984 milioni (+5,7%), ha annunciato la nascita del polo Plug & Play con Unicredit: tecnofinanza dalla Silicon Valley a Milano, cioè «big data, blockchain, pagamenti digitali e open finance», ha precisato, con fornitura di prodotti come «assicurazioni istantanee e conti correnti unificati». «Siamo contenti di esserci tenuti la quota in Nexi», ha detto Victor Massiah, ceo di Ubi. Dal debutto nel 2019 al 12 febbraio scorso il titolo Nexi ha guadagnato il 62%.
MERCATI
Le grandi unioni
È in questo contesto che stanno correndo i matrimoni. L’ultima mega fusione è quella francese fra Worldline e Ingenico, valore d’impresa 9,1 miliardi, che a inizio febbraio ha fatto nascere il quarto gruppo mondiale dei pagamenti elettronici. È solo la punta. Negli ultimi quattro anni, calcola Kpmg per L’Economia del Corriere della Sera, il risiko dei pagamenti ha portato fusioni e acquisizioni nel mondo per 139,3 miliardi di euro. Di questi il 76%, 106,6 miliardi, solo negli ultimi sette mesi. Con operazioni colossali come l’acquisto dell’americana Worldpay da parte di Fis, valore 36 miliardi, la maggiore nel fintech finora. «È un settore che crescerà ancora per tre motivi — dice Pietro Sella, ceo del gruppo Sella che nel ‘97 fu il primo in Italia a proporre l’Internet banking —: 1) l’aumento della domanda con nuovi generatori di pagamento come la sharing economy, i televisori da cui scaricare i film, domani persino i frigoriferi; 2) il calo medio dei margini sulle transazioni di pagamento; 3) la funzione di supporto dei pagamenti, che servono a fornire altri servizi. Lo hanno capito le big tech come Facebook e Google, per loro i pagamenti sono soprattutto informazioni su cui costruire altro. Se fanno traffico, sono disposti a darli anche gratis». È vero che ci sono anche costi in salita per i clienti, come i canoni di alcune carte di credito o le commissioni per i bonifici istantanei. La novità è che «se un cliente considera un servizio di valore, è disposto a pagarlo», dice Omarini.
Chi vale di più
Ma quanto vale questo mercato? Parecchio visto che esprime la società senza contanti, in espansione. Una speranza per l’Italia dove si continua a pagare cash in otto casi su dieci: è del 20% la penetrazione delle carte di pagamento sul consumo (transato sul totale dei pagamenti), contro una media del 33% nell’Ue a 15. In Francia è 42%, in Gran Bretagna 54% (dati 2018 Euromonitor-Eiu). Secondo l’analisi di Kpmg fra le principali fusioni e acquisizioni degli ultimi quattro anni fra società dei pagamenti, nell’ultimo anno sono aumentati i multipli, cioè i numeri che, moltiplicati per il margine operativo lordo e tolto il debito, esprimono il valore di un’azienda non quotata: 16,8 volte nel 2019-2020 contro le 14,6 del 2016-2020. Il massimo è stato raggiunto da Ingenico che nel 2017 valutò Bambora 25 volte l’Ebitda; il minimo da Nexi che comprò Setefi da Intesa nel 2016 per 10,6 volte il margine. L’anno scorso il record è stato di Fis per Worldpay, valutata 22,4 volte l’Ebitda.
Le aziende quotate
Anche le quotate hanno multipli alti: in media 15 volte l’Ebitda, si stima per questo 2020. Il calcolo, di Kpmg, è sulle 21 maggiori società di pagamento nel mondo. Capitalizzazione totale, 493,7 miliardi all’11 febbraio. Sono redditizie. Il margine operativo lordo medio atteso quest’anno è il 30% dei ricavi, con differenze però. Chi offre pagamenti online o merchant acquiring guadagna di più (Ebitda medio 34,6% e 34,4%). Il picco è PayPal che ha la capitalizzazione più alta: 127,4 miliardi, multiplo di 25 volte.
I settori più redditizi
Più bassa la marginalità di chi fornisce i Pos: margine del 18,7% in media e multiplo medio di 9,5 volte. Così come è diverso offrire solo il processing (l’acquisizione delle attività di processing di First Data da parte di Sia, nel 2018, è stata a 12 volte l’Ebitda), senza l’acquiring che, dice Silvano Lenoci, partner di Kpmg, «è la parte più ricca della filiera». Per Lenoci, «la lotta all’evasione sarà in Italia un volano per incentivare la penetrazione dei pagamenti elettronici e in Europa ci si può aspettare un consolidamento con integrazioni di filiera». Fra i dossier sul tavolo, secondo analisti, c’è l’ aggregazione di Nexi con Sia o con la piattaforma pagamenti di Iccrea, così come unioni transnazionali. Certo, tutto dipenderà anche da quante persone saranno disponibili alla trasformazione. Per esempio, al pagamento invisibile.