La misura del contributo a fondo perduto, previsto dal DL Rilancio per sostenere le imprese in crisi dopo il coronavirus, è stato esteso anche alle realtà imprenditoriali più piccole che risultavano essere in difficoltà al 31 dicembre dell’anno scorso. Vediamo a chi spetta e come ottenerlo
Per favorire la ripartenza e l’uscita dalla crisi post-coronavirus, il contributo a fondo perduto viene esteso a una platea più ampia di imprese. Infatti, anche le micro e piccole imprese che risultavano essere in difficoltà al 31 dicembre 2019 potranno chiedere il contributo a fondo perduto, misura a sostegno delle aziende prevista dal Decreto Rilancio. Questa estensione consentirà alle imprese che si erano prudenzialmente astenute dal richiedere il contributo di poter inoltrare l’istanza, il cui termine di presentazione è attualmente fissato al 13 agosto 2020. Vediamo tutti i dettagli e come fare richiesta.
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Innanzitutto, ricordiamo che l’articolo 25 del Decreto legge n. 34 del 19 maggio 2020 ha introdotto un contributo a fondo perduto in favore delle imprese per sostenere i soggetti colpiti dall’emergenza epidemiologica “Covid-19”; il contributo spetta ai soggetti con ricavi inferiori a 5 milioni di Euro a condizione che l’ammontare del fatturato e dei corrispettivi del mese di aprile 2020 sia inferiore ai due terzi dell’ammontare del fatturato e dei corrispettivi del mese di aprile 2019. Una causa ostativa al riconoscimento del beneficio è data dallo stato di “difficoltà” dell’impresa in base alle previsioni regolamentari disposte dall’UE.
Un recente aggiornamento del regolamento UE 651/2014 e della definizione di impresa “in difficoltà” ha esteso la platea dei soggetti destinatari degli aiuti previsti dall’articolo 25 del D.L. 34/2020. La modifica risolve, con effetto dal 29 giugno 2020, una gran parte delle problematiche in precedenza emerse, perché trasferisce, come verrà appresso illustrato, la verifica dello stato di difficoltà dell’impresa da una ipotesi di eventualità ad una fattispecie concreta e determinabile in maniera oggettiva.
Lo stato di “difficoltà” delle imprese, come definito dalle norme comunitarie prima delle modifiche di cui stiamo discutendo, richiamate anche dalla circolare dell’Agenzia delle Entrate n.15/E del 13 giugno 2020, prevede che per le PMI[1] esista lo stato di difficoltà al 31 dicembre 2019:
Per le imprese diverse dalle PMI, la difficoltà esiste qualora si verificano le seguenti due condizioni:
La Commissione UE ha formulato alcune condivisibili osservazioni, secondo cui “Le microimprese e le piccole imprese (ovverosia, le imprese con meno di 50 dipendenti e meno di 10 milioni di EUR di fatturato annuo e/o bilancio annuale) contribuiscono sostanzialmente, in termini aggregati, alla creazione di posti di lavoro e alla crescita nell’Unione, generando oltre il 37 % del valore aggiunto e quasi il 50 % dei posti di lavoro del settore delle imprese non finanziarie. Durante la crisi attuale, le microimprese e le piccole imprese sono state particolarmente colpite dalla carenza di liquidità causata dalle ripercussioni economiche della pandemia di Covid-19. Lo shock senza precedenti sul versante dell’offerta e della domanda dovuto alla crisi ha anche esacerbato le difficoltà che tali imprese generalmente incontrano per accedere ai finanziamenti sul mercato, rispetto alle medie e grandi imprese. Se non affrontate, tali difficoltà potrebbero costringere al fallimento un gran numero di microimprese e di piccole imprese, causando gravi perturbazioni per l’intera economia dell’Unione.” Ha quindi ritenuto opportuno “… includere nel quadro temporaneo aiuti di Stato a favore di tutte le microimprese e le piccole imprese, anche se dovessero rientrare nella categoria delle imprese in difficoltà finanziarie al 31 dicembre 2019, a condizione che non siano soggette a procedura concorsuale per insolvenza ai sensi dei rispettivi diritti nazionali e che non abbiano ricevuto aiuti per il salvataggio (che non abbiano rimborsato) o aiuti per la ristrutturazione (e siano ancora oggetto di un piano di ristrutturazione). Tenuto conto delle loro dimensioni limitate e del loro limitato coinvolgimento nelle operazioni transfrontaliere, la Commissione ritiene che gli aiuti di Stato alle microimprese e alle piccole imprese siano meno idonei a falsare la concorrenza nel mercato interno e ad incidere sugli scambi all’interno dell’UE rispetto agli aiuti di Stato concessi alle medie e grandi imprese.”
L’attuazione della modifica regolamentare[2] è avvenuta con l’inserimento nel regolamento UE 651/2014 di una deroga grazie alla quale “gli aiuti possono essere concessi alle microimprese o alle piccole imprese (ai sensi dell’allegato 1 del regolamento generale di esenzione per categoria) che risultavano già in difficoltà al 31 dicembre 2019, purché non siano soggette a procedure concorsuali per insolvenza ai sensi del diritto nazionale e non abbiano ricevuto aiuti per il salvataggio o aiuti per la ristrutturazione”.
La modifica intervenuta ha una portata rilevantissima non solo perché amplia la platea dei possibili beneficiari del contributo ma soprattutto perché interviene a specificare in maniera molto più netta le ipotesi originariamente previste dalla lettera c) del regolamento UE sopra citato. Infatti, rispetto alla previsione generica, che escludeva dal beneficio l’impresa che si trovasse nelle “…condizioni previste dal diritto nazionale per l’apertura nei suoi confronti di una tale procedura su richiesta dei suoi creditori”, la modifica intervenuta circoscrive la causa ostativa alle imprese che “non siano soggette a procedure concorsuali per insolvenza ai sensi del diritto nazionale e non abbiano ricevuto aiuti per il salvataggio o aiuti per la ristrutturazione”.
L’assoggettamento ad una procedura concorsuale è una fattispecie oggettivamente rilevabile, anche se potrebbe porsi qualche interrogativo riguardo il momento a partire dal quale una impresa debba intendersi assoggettata ad una procedura. Per esempio, nelle ipotesi di concordato preventivo o degli accordi di ristrutturazione di cui al capo III della Legge Fallimentare, si potrebbe porre il dubbio se la data sia quella di presentazione della domanda ovvero quella di ammissione alla procedura. Per ragioni logico-sistematiche e di prudenza ritengo che sia preferibile aderire alla prima delle due ipotesi sopra indicate.
Un altro problema potrebbe riguardare l’individuazione del perimetro delle “procedure concorsuali” e, in particolare, se si debba fare riferimento alle procedure previste dal R.D. n.267 del 16 marzo 1942 ovvero a tutte le procedure che potrebbero essere esperite in caso di crisi d’impresa o di insolvenza, includendo quindi anche quelle ulteriori previste dal Decreto legislativo n. 14 del 12 gennaio 2019, che si rivolgono, tra l’altro, ai soggetti che non potrebbero essere assoggettati alle procedure concorsuali “tradizionali” perché – per esempio – imprenditori agricoli, professionisti o imprese al di sotto dei limiti per la “fallibilità[3]”.
In mancanza di una definizione normativa di “procedura concorsuale” non resta che assumere un atteggiamento interpretativo che privilegi l’esame lessicale del termine, all’esito del quale è difficile non includere tutte le procedure, contenute nel decreto legislativo 14/2019, finalizzate alla composizione delle crisi di impresa, “latu sensu”.
Un’altra questione che potrebbe porsi riguarda la possibilità di avvalersi del contributo a fondo perduto per le società che sono state assoggettate ad una procedura di concordato preventivo o ad un accordo di ristrutturazione omologati. La risposta parrebbe affermativa, perché l’articolo 181 della Legge Fallimentare recita “La procedura di concordato preventivo si chiude con il decreto di omologazione ai sensi dell’articolo 180”. Se la procedura è chiusa, l’impresa non dovrebbe potersi considerare più soggetta a “procedure concorsuali per insolvenza ai sensi del diritto nazionale”, anche perché la conseguenza di una diversa opinione sarebbe che una impresa assoggettata a concordato resterebbe in eterno in una situazione di “difficoltà”, senza possibilità di “riabilitazione”.
La modifica ha effetto dalla data del 29 giugno 2020, come indicato nel punto 12 del provvedimento di modifica 2020/C 218/03. Cosa succede nella ipotesi in cui prima del 29 giugno 2020 fosse stata presentata una istanza da parte di una impresa “in difficoltà” secondo il testo previgente la modifica ?
Ritengo nulla, sia perché comunque il contribuente ha avuto riconosciuto normativamente il diritto alla fruizione del contributo – sia pure in un momento successivo alla presentazione della istanza originaria – ma anche perché essendo intervenuta la modifica al regolamento UE in pendenza del termine per la presentazione della istanza (attualmente 13 agosto 2020), non avrebbe alcun senso pensare che possa procedersi ad una revoca (della istanza presentata ante 29 giugno 2020) ed ad una ripresentazione della stessa, in maniera formalmente e sostanzialmente identica.