La produzione nazionale di carne bovina da gennaio a giugno è scesa del 13,6% (48mila tonnellate in meno), dopo aver già registrato una flessione nel 2019 (-3,6%). «Se a questo dato negativo si sommano le grosse perdite in termini di valore unitario che si stanno registrando negli allevamenti e nei macelli in questi sei mesi – si legge in un report Ismea – è evidente che la filiera bovina registrerà perdite di valore a doppia cifra in questo 2020».
Nonostante al calo dell’offerta nazionale si unisca anche una diminuzione delle importazioni (-8,1% nel semestre, la più importante oscillazione negativa degli ultimi tre anni) i prezzi pagati agli allevatori su base annua sono infatti in calo: dal -1% dei vitelloni al –7% del vitello (a 3,6 euro al kg). E anche se durante il lockdown si è registrato un buon andamento delle vendite retail, con prezzi al dettaglio superiori a quelli del 2019, a pesare è la chiusura di ristoranti e mense, che incidono in modo importante sui consumi di tutta Europa (dal 27% della Francia, passando al 35% dell’Italia, fino a oltre il 40% della Spagna) e soprattutto per i tagli più pregiati.
Inoltre «si sono bloccate le esportazioni europee di bovini vivi e di carni, in particolare da Polonia, Spagna, Irlanda e Francia verso i Paesi del Maghreb, il Libano e soprattutto la Turchia – nota Ismea –. Il sistema produttivo europeo, che fisiologicamente ha un picco di produzione a fine primavera, è andato così in sovraproduzione, con conseguente crollo dei prezzi. Inevitabile che i Paesi citati abbiano cercato sbocchi all’interno dell’Unione e in particolare verso l’Italia, visti i prezzi interni più alti e la strutturale dipendenza dal prodotto estero». Non si può dimenticare infatti che l’Italia produce solo il 55% del suo fabbisogno.
Più che dai consumi, una speranza di inversione di tendenza del mercato può arrivare dal calo delle importazioni (-25% di carne provenienti da Paesi extraeuropei) e dalla frenata della produzione in atto anche in altri Paesi Ue (pur se in maniera meno marcata rispetto all’Italia). Un altro segnale positivo arriva dal numero di bovini da allevamento importati (il 77% del totale) che resta invariato; dato che indica «la tenuta di fiducia degli ingrassatori che non intendono ridurre l’offerta per l’inizio dell’inverno. D’altro canto – si legge nel report – il vitellone è un prodotto che ben ha saputo reagire alla crisi, apprezzato dal consumatore italiano e che ha trovato spazio anche nel canale retail quando i flussi verso l’Horeca (ristoranti, ndr) hanno cominciato a flettere».
«L’evolversi della filiera italiana delle carni bovine è ora legato alla interpretazione che i distributori decideranno di dare ai segnali del mercato – commenta Fabio Del Bravo, responsabile della Direzione Servizi per lo sviluppo rurale di Ismea – ovvero quale dei due “mega-trend” in atto durante questi mesi prenderà il sopravvento: la crisi finanziaria che spinge verso la convenienza di prezzo, o il salutismo e la territorialità che favoriscono il prodotto nazionale». I costi di produzione elevati rendono del resto gli attuali prezzi nazionali incomprimibili e non permettono al prodotto di essere competitivo in questo campo con quello estero.
«La questione rimane rivalutare i consumi di un prodotto che sta gradualmente perdendo appeal per la scarsa riconoscibilità che ne comporta spesso un allineamento verso il basso. Questo significa stimolare una sana competizione, anche con il prodotto estero, su elementi quali “caratteristiche organolettiche”, “modalità e qualità di frollatura”, “riconoscimenti territoriali”, “marchi di garanzia del rispetto animale e ambientale”, “tipo di alimentazione” piuttosto che sulla sola variabile di prezzo. Il processo perché questo si realizzi – conclude Del Bravo – richiede, pertanto, la messa in campo di azioni che permettano al consumatore di percepire la reale la differenziazione del prodotto e premiare la qualità».
Fonte: https://www.ilsole24ore.com/art/carne-bovina-calo-produzione-e-prezzi-ripresa-solo-se-si-premia-qualita-ADXyaDu